Tra le molte anime che albergano dentro la mia personalità, senz’altro una family friendly si può trovare. Ho sempre amato e invidiato le famiglie felici, anche se sapevo che in fondo quella felicità forse non era così reale, e che soprattutto non sarebbe durata per sempre. Ma non fa niente. Il buon esempio da dare ai ragazzi è qualcosa che sento dentro di me, fosse anche insegnare qualcosa delle poche cose che so – di una materia, della vita. Molto tempo lo passo a osservarli, i ragazzi, apprendere le nuove mode, cercare di rimanere al passo col linguaggio, le usanze.

Vincere un premio per un programma che possa definirsi il più family friendly dell’anno in una determinata categoria, per cui, mi riempie di orgoglio. In un universo come quello di internet, fatto di tanti cattivi maestri, il fatto che qualche ragazzo si sia imbattuto in “Italia on the Road”, e magari l’abbia anche guardato senza fare zapping dopo 3 minuti mi rende felice.

Così come mi rende felice aver ricevuto un premio per un’attività che svolgo da relativamente pochi anni, in una delle mie tante vite nello storytelling.

Ho iniziato scrivendo racconti con carta e penna, alle superiori, poi con la macchina da scrivere, per poi passare al pc, dove ho cominciato a portare avanti progetti multimediali. Siti, perfino qualcosa di interattivo e multimediale, quando ancora neanche esisteva Google.

Poi è nata l’era dei blog, di cui questo è uno degli ultimi rappresentanti in vita, e ho cominciato a sperimentare forme di scrittura di varia natura, senza dovermi troppo preoccupare degli aspetti tecnici.

A quella ha fatto seguito la decisione di scrivere per professione, senza sapere bene cosa fare. Mi è sempre piaciuta la narrativa, ma qualcosa mi bloccava alla trentesima cartella, una sorta di maledizione. Mi sono dedicato alla fiction televisiva, poi c’è stato una sorta di divorzio – non voluto, non del tutto – da quel mondo, e mi sono più avvicinato a servizi editoriali e corsi di scrittura, per passare alla non fiction, dove opero da solo pochi anni, dove ho lavorato a documentari e programmi, con 5-6 case di produzione, tra cui a spiccare è stata la Lilith Factory, con cui ho lavorato a 4 programmi e si è venuta a creare una sorta di piccola famiglia. Poi sono arrivati lavori di storytelling aziendale, e ora perfino stand up comedy, che di family friendly ha poco, ma considero un po’ un ritorno alle origini, dove far ridere era una delle mie abilità maggiori.

Non saper bene dove collocarmi, ho solo fatto un piccolo riassunto di una realtà lavorativa molto più articolata e caratterizzata da tanto ghosting, ha sicuramente segnato in negativo il mio percorso. Avrei dovuto credere di più in progetti miei, rinunciare alla commessa col soldo facile e garantito per dedicarmi al mio progetto personale, a costo di non guadagnarci nulla. Ma non ne ho avuto la forza, anche perché credetemi, le mie spalle sono sempre state estremamente scoperte.

Avrei potuto fare di più, farlo meglio, dedicare più tempo a curare la mia immagine, ma a un certo punto ho anche avuto un rifiuto dei social, ho colto l’inutilità di sommare la mia voce alle altre, avrei voluto avere altri modi per farmi sentire e farmi leggere, fuggendo dal chiacchiericcio vacuo e inutile, fuggendo dalle bolle dove ti senti al sicuro che il mondo è un gran bel posto, o entrando in bolle nemiche per fare polemiche che non portano a nulla se non a maggiore incomunicabilità e chiusura.

Un premio per aver fatto qualcosa che va bene a tutta la famiglia mi rasserena. Dopodomani sarò su un palco e sarò sboccato, di certo non vorrò bambini in sala per il mio pezzo di stand up, ma io sono anche quello, e non posso farci nulla. Sento il tempo che mi scorre nelle vene, nel cervello, nel corpo, e non ho più tempo per essere qualcosa di diverso da quello che sono, e voglio dedicare il resto della mia vita a fare quello che mi piace, anche a costo di essere contraddittorio, non piacere a tutti, non riuscire bene in niente.

Oggi mi godo il premio Moige, movimento contro cui tante volte in vita mia ho avuto da ridire, senza false ipocrisie, ma che oggi vedo che ha una sua importanza e un suo valore. Non voglio morire democristiano, ma voglio imparare a rifuggere dagli estremismi, tranne dove sento che sono veramente necessari.

Condividere il premio Moige con gli amici della Lilith è un grosso onore e privilegio, e aver fatto qualcosa di buono per le famiglie, beh, non è affatto male.

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Di Dario